Maria Luisa Nodari, antropologa con lunga esperienza del Tibet, riflette sui recenti fatti accaduti a Lhasa e all’Everest alla vigilia delle olimpiadi di Pechino.
Sono di questi giorni le notizie della chiusura da parte delle autorità cinesi del versante tibetano dell’Everest (e del Cho Oyu). Sono di questa mattina le notizie delle manifestazioni e delle rivolte dei tibetani e dei monaci e della conseguente repressione cruenta con feriti e vittime. Il Tibet, come era prevedibile, mostra al mondo la sua condizione di Paese senza libertà.
Ora sembra che la protesta si stia spargendo in molte zone tibetane anche al di fuori della Regione Autonoma. Al contrario di quanto si possa pensare, come ci riferisce Maria Luisa Nodari, questi movimenti di protesta non sono organizzati, il che significa che non c’è un leader. In questo senso per i cinesi bloccare i singoli eventi è facile, ma nel complesso anche molto difficile, poiché non c’è un leader da incarcerare per soffocare le sommosse nella loro globalità.
Abbiamo chiesto a Maria Luisa Nodari, antropologa, con una lunga frequentazione di studio e vita in Tibet di spiegarci cosa sta succedendo. Nella speranza che le luci olimpiche servano non per abbagliare l’occidente ma per illuminare e far comprendere la situazione che il Tibet sta vivendo dal 1949, anno dell’occupazione da parte della Cina…
Ecco cosa ci ha scritto Maria Luisa Nodari:
Per prima cosa devo dire che non mi ha lasciato stupita la decisione del governo cinese di chiudere l’accesso al campo base dell’Everest (nord) il prossimo maggio. La settimana precedente a Pechino è stata sgominata una cellula terroristica pronta a compiere attacchi durante le olimpiadi. Va da sé che il governo abbia deciso di chiudere l’accesso alle zone sensibili (il Monte Everest) di aree già sensibili, come la Regione Autonoma Tibetana. Soprattutto se è programmata una cerimonia importante come l’ascesa della fiaccola olimpica sulla cima della montagna più alta del mondo, uno dei più grandi simboli politici degli ultimi 100 anni. Conquistata dagli inglesi che ne fecero il simbolo del controllo della regione asiatica (il Great Game, il grande gioco), fu risalita dai cinesi per identiche ragioni nel 1960, portando anche un busto di Mao sulla sua cima. Ciò avvenne non casualmente poco dopo la Grande Rivolta tibetana del ‘59.
Le olimpiadi e quella cerimonia rappresenteranno la vetrina al mondo della Repubblica Popolare Cinese. Prima di commentare i fatti di questi ultimi giorni voglio ricordare ciò che accadde nel Maggio dello scorso anno. Buona parte della “intelligenzia” cinese stava compiendo una serie di viaggi ufficiali al monte Everest per sovrintendere i lavori di preparazione per il futuro viaggio della torcia olimpica al monte Everest. Al campo base dell’Everest erano presenti il Comitato Olimpico cinese, la China Mountaineering Association ed alcuni ministri dello sport, accompagnati dalla polizia in tenuta antisommossa.
In quell’occasione, due o tre ragazzi con passaporto americano (fra loro c’era un ragazzo tibetano, ma residente e cittadino americano) indossarono una maglietta con scritto Free Tibet (Tibet libero) al campo base dell’Everest. Ne risultò l’espulsione dei tre ragazzi, ma soprattutto l’incarcerazione del guidatore che li accompagnò al campo base, ignaro di quanto i ragazzi volevano fare; l’agenzia di viaggio di cui si servirono tali ragazzi fu ufficialmente chiusa. In Tibet tutti gli spostamenti divennero estremamente difficili per tutti, furono istituiti posti di blocco prima inesistenti sulle principali vie di comunicazione, ed agli stranieri non si rilasciarono visti più lunghi di 10 giorni per visitare la regione. Ne seguì anche un irrigidimento della politica interna nella regione.
In riferimento ai fatti di questi ultimi giorni, ho avuto notizie frammentarie sulla vera origine della protesta dei monaci. Il timore del governo cinese è di non avere la situazione sotto controllo per la cerimonia della torcia olimpica e per le Olimpiadi stesse. E’ interessante notare come il Monte Everest sia in un certo senso sempre centrale: è una vetrina addizionale della Cina in fatto di Olimpiadi. Nel 1990 ad esempio, a sei mesi da Tian‘an men, il governo cinese promosse con russi ed americani la ‘Peace expedition to Mount Everest’ in cui i partecipanti acclamarono alla pace mondiale sulla cima ed ai piedi della montagna, liberando anche delle colombe bianche al campo base.
Si può logicamente prevedere una riapertura della regione autonoma al turismo per il periodo delle olimpiadi…
Maria Luisa Nodari
Click Here: IQOS White